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Guerre

Iran, la guerra a cui finora si erano sottratti tutti i presidenti Usa

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guerra Iran

Da Jimmy Carter a Joe Biden nessun presidente americano aveva mai pensato di mettere in campo un’azione militare contro la Repubblica Islamica. E nonostante l’attacco di Trump arrivi in un periodo complesso per Teheran, i rischi legati al conflitto non sono da sottovalutare

Guerra Iran: la scelta mai compiuta dai predecessori

Da Jimmy Carter fino a Joe Biden, nessun presidente statunitense aveva mai messo in campo un’azione militare diretta contro la Repubblica Islamica dell’Iran. Nonostante le tensioni accumulate negli anni, le amministrazioni americane si erano sempre fermate un passo prima della guerra aperta.

Trump cambia la linea rossa

Con l’attacco lanciato da Donald Trump, gli Stati Uniti entrano in una fase totalmente nuova delle loro relazioni con Teheran. L’operazione militare arriva in un momento già critico per l’Iran, segnato da crisi economica e malcontento interno. Tuttavia, l’escalation militare rappresenta un salto di qualità che potrebbe avere effetti duraturi sull’intera regione mediorientale.

I rischi di un conflitto su larga scala

L’azione americana, sebbene calibrata per colpire obiettivi specifici, potrebbe scatenare una reazione a catena. L’Iran ha promesso ritorsioni, e l’intervento rischia di coinvolgere anche altri attori regionali, compromettendo la stabilità di un’area già fragile.

Conclusioni

La guerra Iran, voluta da Trump, rompe un tabù durato oltre quarant’anni. Il futuro della regione è ora più incerto che mai, e il mondo guarda con preoccupazione agli sviluppi.

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Tecnologia

L’Ue testa i suoi nuovi droni militari in Italia: ecco come funzionano

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A Montelibretti, nel Centro polifunzionale di Sperimentazione dell’esercito, l’Eda – l’agenzia dell’Unione Europea per la Difesa – ha organizzato una simulazione sul campo, testando droni militari, terresti e aerei, a guida autonoma.

Droni militari in Italia: i test dell’Ue

A Montelibretti, in provincia di Roma, si è tenuta una simulazione organizzata dall’Eda (European Defence Agency), l’agenzia dell’Unione Europea per la difesa. Il focus dell’evento è stato l’impiego di droni militari in Italia in scenari operativi, con l’obiettivo di valutare l’efficacia di mezzi autonomi sia aerei che terrestri.

Un centro strategico per la sperimentazione

Il Centro Polifunzionale di Sperimentazione dell’Esercito Italiano è stato teatro di una prova sul campo che ha coinvolto diversi Paesi membri dell’Ue. I droni testati erano dotati di sistemi di guida autonoma e capacità di coordinamento in ambienti complessi, come simulazioni urbane o di conflitto.

L’importanza strategica

I droni militari in Italia rappresentano un tassello fondamentale nella strategia dell’autonomia europea nel settore difesa. I responsabili dell’Eda hanno spiegato che le tecnologie testate sono state sviluppate per rafforzare la resilienza dei Paesi membri e per ridurre la dipendenza da fornitori esterni.

Prospettive future

I risultati della sperimentazione saranno ora valutati dagli organi dell’Ue e potrebbero portare a nuove direttive per l’uso dei droni nei teatri operativi. L’Italia, con il suo know-how e le infrastrutture come quella di Montelibretti, è destinata a giocare un ruolo chiave nel futuro della difesa autonoma europea.

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Guerre

Il settore degli aiuti umanitari non se la passa bene

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Uno studio pubblicato su The Lancet ci aiuta a capire quali potrebbero essere gli impatti della chiusura dell’agenzia USAID. Con l’83% dei programmi cancellati o sospesi entro il 2030 si potrebbero contare oltre 14 milioni di morti in più. Se queste misure non saranno invertite.

Settore degli aiuti umanitari: lo studio di The Lancet

Il settore degli aiuti umanitari è in grave difficoltà. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet ha analizzato gli effetti potenziali della chiusura dell’agenzia USAID entro il 2030, stimando impatti devastanti per la salute globale.

83% dei programmi sospesi entro il 2030

Secondo lo studio, l’83% dei programmi finanziati da USAID rischia di essere cancellato o sospeso nei prossimi anni. Questo potrebbe tradursi in oltre 14 milioni di morti in più, in particolare nei Paesi già colpiti da crisi umanitarie e conflitti armati.

Il ruolo dell’USAID

L’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale è stata per decenni una colonna portante degli aiuti umanitari nel mondo. La sua chiusura significherebbe interrompere forniture mediche, supporto nutrizionale, programmi educativi e campagne di vaccinazione.

Prospettive future

Gli autori dello studio mettono in guardia: se queste misure non saranno invertite, l’impatto sulle popolazioni vulnerabili sarà incalcolabile. Serve una risposta internazionale per garantire continuità e supporto.

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Guerre

Stato di negazione, la Serbia 30 anni dopo Srebrenica

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Un Paese diviso: tra chi nel giorno designato dall’Onu commemora il genocidio e chi ridimensiona, banalizza e nega, a cominciare dai vertici politici. Ne abbiamo parlato con Branimir Đurović, ricercatore dell’organizzazione Iniziativa della Gioventù per i Diritti Umani: “Il primo e più esplicito negazionista serbo è il presidente Vučić. Il revisionismo storico è diventato sistematico, oggi più che nel passato”.

Stato di negazione: la Serbia e il ricordo selettivo

Trent’anni dopo il genocidio di Srebrenica, il Stato di negazione sembra ancora profondamente radicato in Serbia. In occasione della giornata ufficiale di commemorazione designata dalle Nazioni Unite, il Paese si mostra spaccato tra chi riconosce la strage e chi continua a banalizzarla o negarla del tutto.

Il negazionismo politico guidato da Vučić

Il presidente Aleksandar Vučić è stato definito da molte organizzazioni umanitarie come “il primo e più esplicito negazionista serbo”. Secondo Branimir Đurović, ricercatore dell’organizzazione Iniziativa della Gioventù per i Diritti Umani, il revisionismo storico in Serbia è più forte oggi che in passato. La politica attuale mira a riscrivere la narrazione collettiva, allontanando la responsabilità e disinnescando la memoria pubblica.

Commemorazioni e reazioni sociali

Nonostante la retorica ufficiale, molti cittadini e organizzazioni non governative commemorano le vittime e promuovono la giustizia storica. Tuttavia, i momenti ufficiali di silenzio e memoria sono spesso accompagnati da manifestazioni negazioniste, che si fanno eco anche sui media nazionali.

Revisionismo e conseguenze internazionali

Il rifiuto di riconoscere la gravità del genocidio rischia di isolare ulteriormente la Serbia a livello internazionale. Mentre l’Unione Europea insiste sulla necessità di giustizia e riconciliazione per l’ingresso di Belgrado nell’Unione, il governo serbo sembra seguire un percorso opposto, alimentando tensioni regionali e sfiducia globale.

Conclusione

Il Stato di negazione non è solo una questione di memoria storica, ma un ostacolo concreto alla pace e alla stabilità nei Balcani. A trent’anni da Srebrenica, la Serbia è ancora chiamata a fare i conti con la verità e la giustizia.

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