Economia
Cos’è “l’indice della paura”? E perché non bisogna allarmarsi se sale?
Cos’è “l’indice della paura”? E perché non bisogna allarmarsi se sale? I nostri soldi sono a rischio?

Dazi, mercati impazziti, Vix alle stelle: come tutelare i nostri risparmi?
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Introduzione
In un mondo dove le tensioni internazionali e le dichiarazioni politiche possono far tremare i mercati in pochi istanti, è fondamentale capire cosa sta realmente accadendo dietro ai titoli sensazionalistici. Il ritorno dei dazi commerciali, l’impennata del VIX — noto come “indice della paura” — e la crescente incertezza sui mercati finanziari spingono molti risparmiatori a porsi la stessa domanda: sono in pericolo i miei risparmi? In questo articolo analizzeremo il significato di questi fenomeni e come proteggere al meglio i propri investimenti.
Il VIX: cos’è davvero “l’indice della paura”?
Il VIX è un indice creato dal CBOE (Chicago Board Options Exchange) che misura la volatilità attesa del mercato azionario USA, in particolare dell’indice S&P 500. In parole semplici, più il VIX sale, più gli investitori temono forti oscillazioni dei prezzi.
Non è un indicatore di crisi certa, ma di incertezza percepita. Quando il VIX supera i 30 punti, significa che c’è nervosismo, ma non necessariamente panico. Storicamente, livelli alti del VIX sono anche segnali di opportunità: la volatilità, se gestita con criterio, può portare a guadagni importanti per chi sa come muoversi.
Dazi e mercati impazziti: perché le borse reagiscono così?
I dazi imposti da grandi economie come Stati Uniti e Cina — o la minaccia di nuovi dazi da parte di figure come Donald Trump — generano timori di rallentamento economico. Le imprese temono un calo delle esportazioni, le catene di approvvigionamento si spezzano, e i mercati azionari reagiscono con vendite massicce.
Questo clima di incertezza può contagiare anche l’Europa, anche se non direttamente coinvolta nei conflitti commerciali. La globalizzazione finanziaria fa sì che ciò che accade a Wall Street abbia ripercussioni anche su Piazza Affari e sulle borse asiatiche.
I risparmi sono davvero a rischio?
Il punto centrale è capire cosa si intende per “rischio”. I nostri risparmi non sono automaticamente in pericolo ogni volta che il VIX sale o che i mercati scendono del 2-3%. Quello che conta è l’orizzonte temporale e la diversificazione degli investimenti.
Chi ha un portafoglio ben bilanciato tra azioni, obbligazioni, liquidità e magari una piccola percentuale in beni rifugio come l’oro, ha strumenti per assorbire anche fasi turbolente. I problemi emergono quando l’esposizione è troppo concentrata, o quando si reagisce con decisioni emotive ai movimenti del mercato.
Strategie concrete per proteggere i risparmi
Ecco alcune mosse intelligenti che ogni risparmiatore può adottare:
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Diversificare tra asset class e aree geografiche.
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Evitare il market timing, ossia cercare di entrare e uscire dal mercato nei momenti “giusti”.
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Utilizzare strumenti difensivi come fondi obbligazionari a breve termine o ETF settoriali più stabili (es. utility, farmaceutico).
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Non farsi influenzare dal rumore di breve termine: spesso la paura è più contagiosa della realtà.
Inoltre, confrontarsi con un consulente indipendente può aiutare a ricalibrare il proprio profilo di rischio, in base all’età, agli obiettivi e al patrimonio disponibile.
Perché non bisogna allarmarsi?
La volatilità è parte integrante del mondo finanziario. Pensare che il mercato debba sempre salire è irrealistico. Periodi di correzione o turbolenza, come quelli innescati da dazi o crisi geopolitiche, sono fisiologici.
Spesso, proprio nei momenti di maggiore incertezza, si presentano le occasioni migliori per chi investe con metodo e pazienza. Il VIX, dunque, non deve essere visto come un mostro da temere, ma come un termometro da saper leggere.
Conclusione
Le notizie su dazi, mercati in caduta e VIX alle stelle non devono trasformarsi in panico. La chiave è l’informazione: sapere cosa indicano questi segnali e come interpretarli fa la differenza tra una reazione impulsiva e una strategia consapevole.
Nel mondo degli investimenti, la paura può essere un’emozione legittima, ma mai una guida. Tutelare i risparmi significa restare lucidi, pianificare, e affidarsi a strumenti diversificati che resistano anche ai venti più forti dei mercati.
Economia
Gli affitti brevi? In Europa continuano a crescere. E l’italia contribuisce
Il ricorso alle piattaforme di condivisione di appartamenti non smette di aumentare. Francia, Spagna e lo Stivale i Paesi più gettonati. Tra le regioni prese d’assalto Andalusia e Sud della Francia ma anche Lazio, Lombardia e Toscana. Roma e Milano provincie top
”Affitti brevi in Europa in aumento
Il mercato degli affitti brevi in Europa è in continua espansione. Secondo i dati più recenti, piattaforme come Airbnb, Booking e Vrbo stanno registrando numeri record, in particolare in Francia, Spagna e Italia.
Le regioni e le città più richieste
Tra le regioni europee più coinvolte troviamo Andalusia, il Sud della Francia e tre regioni italiane: Lazio, Lombardia e Toscana. Le province italiane più ambite restano Roma e Milano, che continuano a registrare alte percentuali di prenotazioni.
I motivi dietro la crescita
Tra i principali motivi dell’aumento degli affitti brevi ci sono la flessibilità per i turisti, l’aumento dei costi degli hotel tradizionali, e le opportunità per i proprietari immobiliari. Tuttavia, cresce anche il dibattito su come questa tendenza stia impattando il mercato residenziale, soprattutto nei centri storici.
L’impatto sull’Italia
L’Italia è tra i Paesi protagonisti di questa crescita. Le normative locali cercano di regolamentare un fenomeno sempre più centrale per l’economia turistica. Alcuni Comuni stanno introducendo limitazioni per bilanciare l’offerta turistica con il diritto all’abitare.
Uno sguardo al futuro
Il boom degli affitti brevi in Europa non accenna a rallentare. Nei prossimi anni si prevede un’ulteriore espansione, ma anche un incremento delle misure normative per limitare effetti distorsivi sul mercato immobiliare.
”Economia
Meno controlli ma più fondi recuperati: i paradossi del fisco italiano
Solo uno su cento: è questa la probabilità che un contribuente venga sottoposto a un controllo fiscale in Italia secondo la Corte dei Conti. Eppure, le somme recuperate dall’evasione continuano a crescere, spinte da strumenti più morbidi come le lettere di compliance e le rottamazioni
“Fisco italiano: un sistema pieno di contraddizioni
In Italia, secondo i dati della Corte dei Conti, la probabilità che un contribuente venga sottoposto a un controllo fiscale è dell’1%. Un dato sorprendente, che fa riflettere sull’efficacia del sistema tributario nazionale. Tuttavia, nonostante i pochi controlli diretti, il fisco italiano riesce a recuperare ogni anno ingenti somme di denaro sottratte all’erario.
Lettere di compliance e rottamazioni: strumenti soft ma efficaci
L’Agenzia delle Entrate ha cambiato strategia. Al posto di controlli approfonditi, spesso lunghi e costosi, ha iniziato a puntare su metodi meno invasivi ma altrettanto efficaci. Le lettere di compliance e le rottamazioni sono diventate strumenti centrali. Il messaggio è chiaro: se paghi subito, risparmi sanzioni e interessi. Questo approccio ha dato i suoi frutti, con un incremento sostanziale dei fondi recuperati.
Evasione fiscale: ancora un problema strutturale
Nonostante il successo delle nuove strategie, l’evasione resta un problema grave. Si stima che ogni anno vengano evasi decine di miliardi di euro. Il fisco italiano continua a lottare con un apparato normativo complesso e con una diffusa cultura dell’elusione. Tuttavia, i dati mostrano che l’efficacia degli strumenti soft è in aumento, e potrebbero rappresentare la via per una riscossione più equa e meno conflittuale.
Conclusione
Il fisco italiano si trova di fronte a una sfida complessa: coniugare il recupero dei fondi con un rapporto più disteso con i cittadini. I risultati degli ultimi anni indicano che questa strada è possibile, anche con meno controlli e più fiducia. La trasparenza e l’efficienza restano gli obiettivi chiave per un sistema tributario moderno.
”Economia
Il Big Beautiful Bill danneggia anche l’elettorato di Trump
Secondo un recente sondaggio, la legge fiscale è impopolare non solo tra i progressisti ma anche tra chi vota il tycoon: solo la metà la vede di buon occhio. Se un tempo la base di riferimento dei Repubblicani erano i ceti più agiati, oggi sono la classe operaia e quella meno abbiente. E con questo il presidente Usa potrebbe dover fare i conti.
”Il Big Beautiful Bill: l’inizio della frattura
Il Big Beautiful Bill danneggia anche l’elettorato di Trump. Lo dimostra un recente sondaggio che evidenzia come questa legge fiscale, simbolo della politica economica del tycoon, non sia apprezzata nemmeno dalla sua stessa base. Solo il 50% dei suoi elettori dichiara di supportarla, mentre una fetta crescente mostra disagio.
Una nuova base elettorale
Negli anni, i Repubblicani hanno visto cambiare il proprio elettorato. Non più solo imprenditori e classi agiate, ma anche lavoratori a basso reddito e ceti popolari. È proprio questa nuova base a percepire la legge come una minaccia al proprio benessere, temendo l’aumento delle diseguaglianze e una minore redistribuzione.
Implicazioni per il futuro
Se la tendenza dovesse proseguire, il Big Beautiful Bill potrebbe trasformarsi in un boomerang per il presidente americano. In vista delle elezioni, sarà cruciale capire se Trump riuscirà a recuperare il consenso perduto o se la sua riforma economica diventerà il simbolo di un tradimento per i suoi stessi elettori.
Secondo Pew Research, la fiducia dei cittadini nelle promesse economiche dell’amministrazione resta fragile.
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