Guerre
Sudan due anni di guerra civile: la pace resta un miraggio
A due anni dallo scoppio del conflitto, il Sudan è ancora immerso nel caos. Mentre il Regno Unito organizza una conferenza internazionale, le speranze di una trattativa concreta restano flebili e le armi continuano a parlare.

Sudan due anni di guerra civile: la pace resta un miraggio
Tagline: A due anni dallo scoppio del conflitto, il Sudan è ancora immerso nel caos. Mentre il Regno Unito organizza una conferenza internazionale, le speranze di una trattativa concreta restano flebili e le armi continuano a parlare.
Introduzione
Sono passati esattamente due anni dall’inizio della guerra civile in Sudan, e il paese africano continua a sprofondare in una crisi senza fine. Nonostante i numerosi appelli internazionali e i tentativi di mediazione, la pace resta lontana, e il fragile tessuto sociale del Sudan è sempre più lacerato. Mentre il Regno Unito ospita una conferenza internazionale per stimolare il dialogo, la situazione sul campo peggiora e il conflitto sembra tutt’altro che prossimo a una soluzione.
Le origini della guerra civile
Il conflitto ha avuto origine nell’aprile del 2023, quando le tensioni tra le Forze Armate sudanesi e le Rapid Support Forces (RSF) sono sfociate in una violenta escalation armata. Le due fazioni, teoricamente alleate nel periodo post-Bashir, hanno iniziato a contendersi il controllo politico e militare del paese.
Le principali città, da Khartoum a Omdurman, sono diventate teatri di scontri urbani, saccheggi e bombardamenti indiscriminati. I civili, come spesso accade, sono le principali vittime di questa lotta per il potere. Secondo le Nazioni Unite, oltre 9 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case, e il bilancio delle vittime supera ormai le 12.000 unità.
Una conferenza internazionale con poche speranze
In questi giorni, il Regno Unito ha organizzato a Londra una conferenza sul Sudan, nel tentativo di riaprire il dialogo tra le parti. All’evento partecipano rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana e di varie ONG internazionali, oltre a delegazioni diplomatiche di paesi chiave come Stati Uniti, Egitto, Etiopia e Francia.
Tuttavia, l’iniziativa parte con un’atmosfera di scetticismo diffuso: le due fazioni in lotta non hanno accettato di sedersi allo stesso tavolo, e l’assenza di un cessate il fuoco rende qualsiasi negoziato praticamente inutile. Le parole di James Cleverly, ministro degli Esteri britannico, sono emblematiche: “Senza silenzio delle armi, nessuna pace sarà possibile”.
Crisi umanitaria senza precedenti
Oltre alla violenza, il Sudan è alle prese con una drammatica emergenza umanitaria. Ospedali distrutti, scarsità di acqua potabile, interruzioni elettriche e insufficienza di aiuti alimentari stanno mettendo in ginocchio una popolazione già provata da anni di instabilità.
Secondo l’ONU, oltre 18 milioni di persone necessitano di assistenza immediata. Le agenzie umanitarie denunciano gravi ostacoli nell’accesso alle aree più colpite, a causa della presenza di milizie armate e dell’assenza di garanzie di sicurezza.
In molti casi, le scuole sono state trasformate in rifugi per sfollati, mentre le malattie infettive, come il colera, stanno tornando a colpire con forza.
L’inerzia della comunità internazionale
Nonostante le gravi violazioni dei diritti umani documentate da organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, la reazione della comunità internazionale appare debole e frammentata. Le sanzioni economiche finora introdotte non hanno avuto effetti concreti sul terreno, mentre le risoluzioni ONU sono rimaste spesso lettera morta.
Molti analisti sottolineano l’assenza di una strategia coerente e la tendenza a considerare il conflitto sudanese una “crisi periferica”, rispetto ad altri scenari geopolitici più mediatizzati.
Quali prospettive per il futuro?
Al momento, le possibilità di un accordo sembrano ridotte al minimo. I generali Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo (meglio noto come Hemedti) sembrano intenzionati a combattere fino alla fine, sostenuti da alleanze tribali e interessi regionali complessi.
Tuttavia, una via d’uscita potrebbe arrivare da una maggiore pressione multilaterale, accompagnata da un impegno diplomatico più incisivo delle potenze africane e occidentali. Solo con un cessate il fuoco stabile e la ripresa di un processo politico inclusivo sarà possibile iniziare a ricostruire il paese.
Conclusione
Due anni dopo l’inizio del conflitto, il Sudan continua a vivere una delle crisi più gravi e dimenticate al mondo. La conferenza di Londra rappresenta uno spiraglio, ma senza un vero impegno delle parti e una pressione decisa della comunità internazionale, la pace resterà un miraggio lontano.
Intanto, le armi continuano a parlare, e milioni di sudanesi vivono ogni giorno nella paura, nell’insicurezza e nella fame. Il tempo, però, non è infinito: senza pace, il Sudan rischia di diventare uno stato fallito a tempo indeterminato.
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